SINTESI STORICA
La cucina siciliana,
alle origini, si basava prevalentemente su alcuni dei prodotti agricoli
autoctoni e sulla pastorizia.
Con il susseguirsi delle
civiltà dominatrici, i piatti siciliani si arricchirono di altre specialità
agroalimentari, generando, nei secoli, una vera arte culinaria siciliana.
Un’identità che, nei secoli, si tramanda di generazione in generazione.
I dominatori introdussero
anche attrezzi e utensili molto utili alla popolazione sicula, che divennero,
negli anni a seguire, produzioni dell’artigianato locale.
La cucina siciliana è
ricca anche perché ha una duplice performance: piatti elaborati e piatti
popolari. Per non parlare dei cibi di strada i cosiddetti street food,
un tempo cibo povero e frugale, oggi caratteristico e ricercato, soprattutto
dai turisti. C’erano le Osterie e le Taverne, dove forestieri, viaggiatori e
gente locale gustavano pietanze popolari e del buon vino.
Gli accostamenti degli
ingredienti, le fantasie dei cuochi e delle massaie, i liberi mercati, hanno
innovato la cucina siciliana ma la tradizione rimane un asse
portante dell’identità locale.
Vediamo cosa importarono
le varie civiltà nell’antica e fertile Sicilia, già popolata da: Siculi, Sicani
ed Elimi……
I GRECI
I Greci segnarono un
periodo florido della Sicilia e di tutto il Mediterraneo. Essi diedero un
valore aggiunto all’olio di oliva e all’innesto delle viti autoctone siciliane.
In Sicilia, infatti, le viti e gli ulivi esistevano di già, ma i greci
insegnarono nuovi metodi di conservazione dei frutti e di innesto delle viti.
In particolare della vitis vinifera. Influirono anche nell’utilizzo
del farro con il quale i siculi facevano il pane, essi, invece, lo impiegavano
per fare dell’ottima pasta tipo tagliatelle e
la pasta frolla. Con i semi di farro i greci facevano un mix di zuppe con
lenticchie, ceci e fave.
Ad essi si deve
la Tedradracma, moneta che, all’epoca, poteva considerarsi
l’euro odierno in tutto il mediterraneo.
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Tedradracma |
La Sicilia, non era proprio priva di prodotti agroalimentari, e
per questa sua ricchezza autoctona, secondo fonti antiche, già all’epoca della dominazione ellenica, vantava una scuola di formazione
professionale per cuochi, fondata da Landuco, rinomato cuoco che
realizzò piatti e menu importanti e formò cuochi raffinati richiesti in varie
parti d’Italia e del mediterraneo, soprattutto dai romani.
I FENICI
I Fenici,
antichi abitanti dell’odierno Libano, più che colonizzatori furono dei
commercianti che approdarono in Sicilia per esportare i loro prodotti anche in tutto
il mediterraneo, che consistevano in: ceramica, realizzazioni metalliche da
cantiere, oreficeria, stoffa, anfore dalla tipica forma a punta per fissarle
nella sabbia per il trasporto dei prodotti alimentari, nel corso degli
approdi, quali: grano, orzo, legumi, olio di oliva, vino. In Sicilia, le anfore di svariate forme sono state utilizzate, sino al secolo scorso, nell'hinterland, per conservare l'olio, l'acqua e i cereali.
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nave fenicia con anfore a punta |
A
loro si deve l’estrazione del sale e la costituzione delle
saline, famose quelle di Marsala; la conservazione del vino in recipienti
ceramici, l’apicoltura, l’incremento di alberi da frutta, la costituzione di
cantieri per la costruzione di navi. Furono anche gli inventori dell’alfabeto, e, per puro caso,
scoprirono il vetro.
Palermo fu fondata dai
Fenici.
I ROMANI
Più che apportare i
romani “PRESERO” dalla Sicilia, il meglio delle produzioni, quale il grano,
divenendo così il granaio di Roma, appesantendo, oltremodo, l’isola di tasse e
vessazioni di classi.
Le
condizioni economiche peggiorarono a tal punto da generare rivolte
servili.
Ad essi va attribuito l’uso delle interiora. Nell'Isola, tra le interiora primeggiano le budella dei suini e degli ovini. Con le prime si realizza una specie di salsiccia chiamata sanguinaccio, ovvero, budello riempito di sangue di maiale aromatizzato e cotto, poi tagliato a mò di salame. Nel palermitano vi è la versione dolce, nell'hinterland, salata. Con le budella di ovini, caprini e bovini, si realizzano le stigliole o stigghiole in siciliano. Anche qui, due versioni: una, la più conosciuta è quella palermitana che, rigorosamente vengono cucinate sulla brace, poi condite con sale e limone. La seconda, più elaborata è simile ad un involtino ripieno di uova dure, cipolla, mollica di pane, prezzemolo, sale, pepe, in cui le budella fanno da legante e il ripieno viene contenuto nella membrana della pancia dell'agnello o nella retina di maiale. Quindi viene bollita e poi arrostita. Da alcune fonti, pare che le interiora siano state introdotte dagli Ebrei.
GLI ARABI
Saltando le successive
dominazioni distruttrici, oltre a quella romana, dal 440 d. C. arriviamo all’827
d.C. con la invasione araba. Gli arabi fecero di Palermo l’epicentro di tutto ciò che
poteva essere oggetto di scambi culturali e commerciali. Ad essi la Sicilia
deve molto, poiché introdussero parecchi prodotti che oggi sono oggetto di
grande commercio e col marchio di qualità. Agli
arabi dobbiamo le opere di canalizzazione delle acque e la raccolta,
soprattutto nelle campagne, nella tipica gebbia, dall’arabo jabh (cisterna).
Essi diffusero
profonde raffinatezze nella cucina siciliana, già apprezzata nel mediterraneo,
nonché l’arte del comporre certe pietanze. Essi introdussero piante di aromi quali, gelsomino,
scorsonera, cannella, fiori di garofano; e ancora, il miele, il sesamo, le
mandorle, la pesca, l’albicocco, il ficodindia, i datteri, gli agrumi, gli
asparagi, le melanzane, il cotone, il pistacchio, il
riso, la canna da zucchero, la giuggiulena, dall’arabo giulgiulan, cioè semini che insaporiscono e
adornano pane e dolci.
L’arte del distillato,
l’anice o zammù in siciliano, derivante
dall’arabo, zammut. Dolci con crema di ricotta,
gelati soprattutto sorbetti aromatizzati al limone o al gelsomino o alla
cannella. L’utilizzo del grano macinato grossolanamente con cui si fa il famoso
cous cous.
La pasta.
”….. i vermicelli, mentre di origine arabo-berbere sono i
maccheroni, mukarana, lunghi fili di pasta di grano duro essiccati,
che trionferanno nella ricetta della pasta con le sarde, con passolina, pinoli
e zafferano”. (fonte: La cucina siciliana di derivazione araba della
Professoressa Lucia Imprescia). A proposito di mukarana, in Sicilia si chiamano maccarruna, la cui grossezza è
la via di mezzo tra il bucatino e lo spaghettone. Nel trapanese é realizzato
con il buso e quindi sono chiamati busiati e simili al
bucatino. Nella provincia di Caltanissetta sono meno grossi del bucatino e
senza buco, molto simili allo spaghetto grosso e si chiamano maccarruna o maccheroni chi
volesse italianizzare.
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maccheroni |
I dolci.....
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sfinci caserecce |
E che dire
delle frittelle, o crespelle fatte con farina e lievito, o delle spugnose e irresistibili sfinci, dall’arabo
isfang da
cui derivano le elaborate sfinci di San Giuseppe, ricche di ricotta
e canditi, simili e più semplici risultano quelle romane che si chiamano zeppole.
Non deve mancare la famosissima cassata siciliana dall’arabo quasat “scodella
quadrata”, perché la ricotta, aromatizzata e zuccherata, ma senza il pan di
spagna che fu creato nel 1700, era “incassata” dentro questo
contenitore.
La cucina araba introdusse anche la càlia dall’arabo qalia (abbrustolito) e la cubbàita, dall’arabo qubbayt, “conserva dolce” (F. Corriente, A Dictionary of Andalusi Arabic, Brill, 1997, pagg 411 e 412 sub vocibus QBṬ, QBÐ e QBḌ).
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cubbaita |
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torrone casereccio |
Va evidenziato che, nel comune di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, nel mese di settembre, si festeggia "Il torrone più lungo del mondo", che raggiunge oltre i mille metri, impiegando 3000 chilogrammi di mandorle mazzarinesi delle migliori qualità, come “Tuono”, “Ferragnes”, “Gengo”, “Vinciatutti” e “Persichina” e circa 2000 chilogrammi di zucchero. Esiste anche una variante, alle mandorle si aggiunge il pistacchio di Bronte.
É stato ereditato
anche il famoso marzapane, una pasta di farina di
mandorle con la quale, in Sicilia, si realizzano forme di frutta detta frutta
martorana, tradizionalmente preparata per i bambini e non solo, in
occasione della commemorazione dei defunti. Deve il suo nome al monastero fondato nel
1194 e voluto dalla nobildonna Eloisa
Martorana per le “nobili signore dell’ordine di San Benedetto”, dove le
monache, intorno alla fine del 1700, in occasione della visita del Papa, per
abbellire gli alberi spogli del convento, realizzarono dei frutti con il marzapane.
Successivamente, fu un “prodotto commerciale” che servì al loro sostentamento.
E poiché questo dolce
arrivò nelle corti reali, venne chiamata anche Pasta reale.
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frutta martorana |
La calia non
è altro che un misto di: ceci e fave, caliate (in siciliano),
abbrustolite (in italiano) su di una padella di alluminio, ovviamente senza
olio. Calia deve la sua origine al verbo siciliano "caliare" ossia abbrustolire, tostare, nonchè dall'arabo haliah, con h aspirata. Alla calia va aggiunta la semenza ossia semi di girasole caliate e
salate, che compongono la tipica calia e semenza, distribuita
nelle bancarelle addobbate per le feste popolari e oggi anche negli
ipermercati. Un tempo, nei momenti delle città in festa, la calia e semenza si
acquistava in coppi, ossia sacchi di carta arrotolati a forma di cono, e si mangiava mentre si passeggiava e
veniva offerta a tutti coloro che si incontravano lungo le strade del paese,
anche a chi l’aveva acquistata, come segno di amicizia.
Unitamente alla càlia e semenza, in Sicilia, c’è lo scaccio ovvero
l’insieme di frutta secca che si schiaccia, composta da noci, mandorle,
noccioline e pistacchio. Lo scaccio è immancabile sulle tavole imbandite nel
periodo natalizio.
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scaccio |
Contrariamente a ciò che si sostiene nel Corano, nessun musulmano che mi legge me ne voglia,
gli arabi introdussero l’uso dell’alambicco, dall'arabo أنْبِيق (al-’ambiq, distillare), ma
anche del vino.
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alambicco |
......I sorbetti e/o granite....
Oltre alla cassata, merita lodevole attenzione il sorbetto, sharbat in arabo. Per la sua realizzazione gli arabi utilizzavano gli aromi, la frutta e la neve dell’Etna, conservata in appositi contenitori scavati nella pietra, dette neviere. Alcune di esse le troviamo a Pompei. Sorella del sorbetto è la granita, dall'aspetto granuloso e aromatizzato con: arancia o limone o cannella o menta. Tradizionalmente, in Sicilia, la granita era indicata anche col nome di grattarola, perchè il venditore ambulante, che conduceva su un carretto, blocchi di ghiaccio aromatizzato, grattava il ghiaccio aromatizzato e lo poneva dentro un bicchiere. Oggi, troviamo le due versioni:granita-sorbetto, dalla consistenza omogenea e sottile, e la granita vera e propria, dalla consistenza granulosa. In Sicilia, sia il sorbetto che la granita, molto comunemente, si indicano entrambi, col nome granita, che viene servita, con una brioche, nei vari gusti: caffè, arancia, scorsonera, limone.
I
normanni introdussero la selvaggina cotta allo spiedo e
approfittarono dei tesori culinari lasciati dagli arabi. Essi furono presi per
la gola, considerata l’indole vichinga e barbara che li distinse tra gli altri
popoli.
Solo
gli Svevi diedero un’impronta più pacata e precisamente Federico II, lo Stupor Mundi, che apprezzò e condivise con alcuni arabi, presso la sua corte, la
cucina siculo-araba, che fu gradita a numerosi personaggi del mondo della
cultura che gravitarono nella sua corte, a Palermo.
Nel
corso del suo regno, arrivarono pesci del mare del nord, come le aringhe già
affumicate, il baccalà sotto sale, il pesce stocco dall’inglese stock
fish, ossia pesce essiccato al palo. Questi pesci così conservati,
nonostante i siciliani si cibassero di pesce fresco, ne apprezzarono la
conservazione per il loro utilizzo nei mesi invernali ma anche per il basso
costo rispetto a quello fresco. Oggi, costa molto di piu' del pesce fresco.
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arinche affumicate |
La raffinata corte
sveva richiedeva anche piatti elaborati con gli ingredienti introdotti dagli
arabi.
GLI
ANGIOINI
La
cucina francese influì molto sull’accostamento di molti degli ingredienti già
esistenti in Sicilia, dando un tono di eleganza e di raffinatezza ma dal gusto
leggermente dolce rispetto al più sapido preferito dagli isolani.
Da
questo popolo abbiamo ereditato, quindi, delle preparazioni e metodi di cottura
elaborati ma comodissime per le occasioni e per il trasporto, considerati
piatti unici: pasta a forno, timballi, rollò di carne, salse di
vario tipo, tra cui la besciamella, le glasse, il gateau che
in Sicilia chiamiamo grattò.
Altri
piatti tipici popolari: le quaglie di melanzane, così dette per il taglio tipico a forma di quaglia e le sarde a beccafico.
I
loro nomi derivano dalle similitudini dei piatti dei ricchi, poiché il popolo
non potendosi permettere cacciagione ne imitava le parvenze con gli ortaggi. Infatti, il beccafico è un tipico uccello.
Nell’hinterland della Sicilia, altre pietanze venivano imitate e sostituite con gli ortaggi non solo per la mancanza delle materie prime più reperibili nelle coste, ma anche per l’impossibilità economica. Infatti, la cucina popolare ebbe più consensi grazie alla facile reperibilità degli ingredienti e alla loro cottura.
Nell’hinterland della Sicilia, altre pietanze venivano imitate e sostituite con gli ortaggi non solo per la mancanza delle materie prime più reperibili nelle coste, ma anche per l’impossibilità economica. Infatti, la cucina popolare ebbe più consensi grazie alla facile reperibilità degli ingredienti e alla loro cottura.
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melanzane taglio "quaglie" |
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sarde a beccafico |
GLI
ARAGONESI E GLI SPAGNOLI “CATALANI” – PERIODI DEI VICERÈ
Da
una corte all’altra, ormai, si faceva a gara chi mostrasse più raffinatezze e
fronzoli, nonché invenzioni culinarie attraverso i cuochi ”importati”
dall’estero. Un’usanza delle corti.
A
loro si devono le torte salate di pasta sfoglia lievitata o pasta di pane
lievitata, ripiene di carne e cotte al forno. Le famiglie meno facoltose le
farcivano con della verdura, uova e olive: le cosiddette empanadas, ‘mpanate in
siciliano. Nelle varie provincie siciliane questo piatto assume diverse
performance.
Dalle 'mpanate
derivarono i famosi calzoni a forno o fritti, oggi spuntino fugace nel
palermitano.
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calzone |
Per
la cottura delle pietanze venivano impiegati tegami di terracotta che
permettevano una cottura uniforme, mantenevano il calore e ne conservavano
l’aroma. Per mantenere le caratteristiche soporifere, a tutt’oggi se ne
consiglia l’uso.
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'mpanata (torta salata) |
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frittata con verdure (tortillas) |
Essi introdussero anche la caponata. L'origine del nome trova diverse scuole di pensiero, poiché si potrebbe attribuire alle Cauponium, ovvero, Osteria, luogo, frequentatissimo, dove si gustavano piatti locali e del buon vino, anche da cavalieri e passanti. Altri, abbinano tale nome al pesce capone, poichè, nelle coste, si realizzava la caponata con vari tipi di pesce, condito con olive, cipolla e olio. Nell'hinterland dell'Isola, con verdure, quali melanzana, sedano, olive, capperi, che è quella utilizzata anche commercialmente, ai giorni nostri.
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Caponata di pesce spada |
Fra i
dolci, dobbiamo l’ingresso del famoso Pan di Spagna, indispensabile
nella pasticceria che fu uno dei componenti della cassata araba, conosciuta
come Sua Maestà la Cassata Siciliana, elaborata dai siciliani nei secoli a
venire. Ma questa ha un articolo a parte nei menu che propongo.
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Pan di spagna |
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Cassata siciliana |
Non vorrei tralasciare l’uso dello zafferano che erroneamente se ne dà la paternità agli Aragonesi. E' una spezia ottenuta dal fiore Crocus sativus.
Fu introdotto dagli arabi e
divenne una pianta endemica che non fu apprezzata nei secoli a venire dai pastori, ma solo
oggi, se ne apprezza l'importanza. Utilizzato per condire un formaggio di
qualità della provincia di Enna: il Piacentino Ennese.
zafferano |
Questa
è stata una presentazione generale della cucina siciliana, ma delle curiosità
più approfondite verranno evidenziate nelle ricette che vi saranno proposte.
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