Blog dedicato alla vera cucina siciliana, dagli antipasti ai dolci e ai gelati, alla corretta alimentazione....... e anche al turismo......

giovedì 29 marzo 2018

L'uovo di Pasqua nel mondo





Il nome Pasqua deriva dall’ebraico Pesah, “passaggio”. Per essi, era il passaggio dalla terra di Egitto alla terra promessa. Per i cristiani è il passaggio di Gesù Cristo da materia a spirito, ovverosia, “trapasso”, come si osa dire nell’hinterland della Sicilia. E le antiche donne dell’Isola, il venerdi santo, fedelmente, aderivano al trapasso con il rigoroso digiuno.
L’agnello, nella religione cristiana assume il significato del sacrificio di Gesù morto in croce e risorto.
Ma, come ogni ricorrenza religiosa che conserva il sacrificio, anche la Pasqua manifesta un lato gioioso abbinato alla resurrezione ovvero alla rinascita. L’uovo. La più grande cellula vivente.
"Omne vivum ex ovo", cioè "tutti gli esseri viventi nascono dall’uovo".

Ma come si arriva all’utilizzo dell’uovo per simboleggiare la Pasqua?
L’uovo, sin dall’antichità, ovvero, sin da prima del cristianesimo, ha assunto il significato di sacralità e di nascita:  l’uovo primordiale che conserva il seme della vita, come significazione della nascita del Cosmo. Esso è stato anche utilizzato dalle antiche civiltà del sud est europeo, India, Indonesia, Iran, Grecia, Russia, testimoniato da resti di uova di creta ritrovate, nelle tombe.

Gli egiziani credevano che l’uovo fosse il centro dei quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria;
i Persiani festeggiavano l'arrivo della primavera regalando uova di gallina, poiché l'usanza di regalare le uova si  associa alla coincidenza che la Pasqua è una festa che ricade sempre in primavera, stagione della rinascita e della della natura.

L’uovo si collega anche alla leggendaria araba Fenicia, mitico uccello, detto anche Uccello di fuoco,  che rinasceva dalle ceneri e che prima di morire preparava un nido a forma d’uovo, su cui si appollaiava e si lasciava incenerire dai raggi solari. Dalle ceneri si formava l’uovo e da esso l’Uccello di Fuoco rinasceva.
Fenicia- Uccello di Fuoco


Nella mitologia cinese esiste una divinità, simbolo della creazione, chiamata Pan Gu, originatasi da un enorme uovo galleggiante nello spazio cosmico. Quando l’uovo si aprì, dopo 18 mila anni, generò la terra, il cielo. 
Pan-Gu


Anche in India esiste l’uovo primordiale che generò la terra, il cielo, le montagne ed il sole. Quest’ultimo rappresentato dal tuorlo.

Eurinome, Ofione e l’Uovo Universale. Anche in Grecia l’uovo universale ebbe lo stesso significato, quando ancora non erano “nati gli dei”.
Eurinome 
Ofione
Eurinome era la dea universale “che vaga in ampi spazi”, nata dal caos, vagò per lo spazio, poiché non aveva possibilità di posarsi su qualcosa di solido, e generò il vento che si trasformò in serpente, Ofione, con cui si accoppiò e rimase incinta, ma subito assunse la forma di una colomba. Volò in cielo e depose l’Uovo Cosmico, da cui nacquero: il sole, la luna, le stelle, i pianeti, la terra e tutto ciò che ci circonda.

   
   





Persino gli antichi Sumeri, Babilonesi e Cananei, credevano all’uovo primordiale, che secondo al mitologia, fu deposto da una colomba che sorvolava le acque ancestrali.

L’uovo assume un significato mistico-cosmogonico e, nel tempo, quello della rinascita della natura nel periodo primaverile.  Con l’avvento del Cristianesimo, l’uovo cosmico non assume più l’aspetto del “creatore” ma simbolo della rinascita del Cristo, la resurrezione. L’uovo apotropaico dell’equinozio della Primavera, diviene l’emblema del rinnovamento della civiltà cristiana. Da qui, si rivela il significato delle uova di alabastro ritrovate nelle catacombe romane, simbologicamente presente nei riti e nelle iconografie pasquali.
Un tempo, infatti, il giovedì Santo, si usava deporre un uovo di struzzo nel sepolcro insieme con l’Eucarestia. L’uovo veniva ritirato il giorno di Pasqua, detto anche Domenica dell’uovo.

Nel Medioevo i cristiani, nel periodo pasquale, donavano uova vere consacrate che chiunque le mangiasse, poteva partecipare al rito-grazia della Risurrezione.
In seguito l’uovo, pur mantenendo la stessa sacralità, fu “creato” d’oro e d’argento, per lo scambio tra nobili, talvolta, abbellito di pietre preziose. Famoso quello Fabergé, creato per la zarina Maria, nel 1883.




Il popolo, nei secoli, e sino a qualche decennio fa, decorava le uova sode, ponendole nelle ceste, o inserendole in impasti di pasta dolce per i bambini, creando i panierini, “panareddi” in siciliano, o “pupi cull’ova” ovvero, pupi con le uova, o forme di pane dolciastro riempito di uova. Una tradizione, a tutt’oggi, seguita in alcune parti dell’Italia, specialmente al Sud.



panierini di pasta dolciastra con uova sode

Ma nei secoli, trionfa anche l’uovo di cioccolato: fondente, dolce, bianco, nocciolato, e così via.
Il primo uovo di cioccolato fu realizzato intorno alla seconda metà dell’800, grazie ad un dolciere inglese, il cui spessore non era uniforme. In Italia, ebbe un’evoluzione più perfetta, e nei primi del ‘900, si inserirono le sorprese.

Qui finisce la sacralità dell’uovo ed inizia il valore commerciale, per la gioia di grandi e piccini.












lunedì 11 dicembre 2017

Il pane casereccio e gli antichi grani siciliani



Ampio spazio ho riservato al "biondo di Sicilia" ovvero al grano siciliano, nel post della cuccìa. Qui desidero specificare i grani rimasti in commercio e....

La Sicilia conta una varietà vasta di grani che posseggono proprietà organolettiche rilevanti. Esattamente 52 cultivar.
Per condizioni politiche-economiche, i contadini, nei secoli, hanno preferito scegliere una varietà al posto di un’altra, inducendo, così, le aziende produttrici di pasta e pane, all’importazione di grani non di certo rientranti nella rosa dei “pregiati”.
Per dare un’idea di cosa producevano e producono, se pur in minor misura, oggi, i contadini, in Sicilia, vi elenco i grani siciliani, più antichi e pregiati, suddivisi in duri e teneri:
  • Maiorca
  • Perciasacchi
  • Russello
  • Tumminìa



 - Maiorca
È un grano tenero, e la farina, grazie alla sua versatilità e al basso contenuto di glutine, viene impiegata nella preparazione di prodotti dolci e salati. Tra i dolci, vi sono: i taralli o ciambelline, biscotti, e, mescolata a quella di mandorle, si realizza la pasta reale.
Tra i prodotti salati: grissini, pane bianco,
Nell’antichità, in Sicilia, nessuno utilizzava il termine farina 0 oppure 00, ma semplicemente farina di Maiorca.
Il grano Maiorca oggi viene coltivato nel comparto bio e venduto nei negozi specializzati.


Perciasacchi ovvero Kamùt (impropriamente detto)
UDITE, UDITE. Dire Perciasacchi o Kamùt è la stessa cosa, poiché è il famoso Triticum turgidum ssp. Turanicum.  Quindi, niente di esterofilo o di chissà quale conquista fatta da chi vuole speculare su una novità.
Kamùt è solo un marchio registrato da un canadese, Mr. Quinn, che lo esportò, coltivandolo in vaste distese del Canada. Oggi lo rivende, appunto, col marchio Kamùt. Pertanto, in Sicilia, il Perciasacchi si utilizza da secoli e secoli. Il termine perciasacchi in siciliano, buca sacchi in italiano, detto così, appunto, perché la sua consistenza elevata, buca i sacchi.

Il perciasacchi, quindi, grano siciliano, durissimo e grande, genera una farina per realizzare pane di grano di grano duro.
Tralasciando argomenti prettamente tecnici, voglio sottolineare alcune delle proprietà di questo grano:
-       possiede bassi livelli di micotossine, ossia, è resistente alle muffe. Queste muffe, prodotte da altri grani, causano effetti devastanti negli organi del nostro corpo.(reni, fegato, stomaco).
-       Ottimo per diabetici poiché possiede bassi livelli di indice glicemico
-       Ottimo per chi è sensibile al glutine (Gluten sensitivity) MA NON PER CHI È AFFETTO DA CELIACHIA.

- Russello.

Anch’esso è uno dei grani duri più antichi della Sicilia. La farina è utilizzata per produrre pane a pasta dura e integrale. Uno di questi, il Pane nero di Castelvetrano, farina mista ad altre farine importanti, quale la tumminia o timilia.
La farina viene utilizzata oltre che per il pane anche per pasta trafilata al bronzo. Risultano prodotti molto digeribili e dal particolare profumo vegetale. Oggi, è coltivato in versione bio e la farina si trova nei negozi specializzati.
È detto russello poiché la spiga è tendente al rosso.

-       Tumminia o tumilia

Anch’esso si annovera tra i grani più pregiati, il cui nome botanico è Triticum durum. La farina integrale viene utilizzata prevalentemente per la panificazione, ma anche per altri prodotti da forno. A basso contenuto di glutine ma di alto valore proteico, contiene una sostanza che dà benefici al cuore e al sistema immunitario, specialmente contro il tumore: la lignina.

Come detto, una buona percentuale della farina di tumminia va aggiunta al russello e ad altre varietà (come da disciplinare) per realizzare il Pane nero di Castelvetrano.
Grazie all’alto contenuto di fibre, diminuisce i valori glicemici e protegge l’organismo dalle intolleranze alimentari. Cosa che non avviene nutrendosi di pane bianco raffinato.

Vi sono altri grani che però sono difficili da reperire, poiché gli agricoltori, nel corso degli secoli, hanno preferito coltivare varietà che hanno una maggiore resa e un buon gusto.

Tutti i grani duri sono resistenti alla siccità e producono spighe alte e ricchi di chicchi grossi e duri che generano farine pregiate. Dette farine producono prodotti siciliani di qualità certificati.

Le farine dure vanno lavorate, rigorosamente, con il lievito madre, donando un profumo inconfondibile.












Pane casereccio con farine antiche e lievito madre
  • 500 gr farina perciasacchi
  • 100 gr farina tumminia
  • 350 gr acqua
  • 200 gr lievito madre
  • 10 gr Sale
  • 20 gr Olio d'oliva




Su una spianatoia di legno, mescolate le due farine e formate una fontana. Nel frattempo, in una ciotola capiente, versate dell’acqua tiepida e unitevi il lievito madre  sfarinandolo a pezzi grossi. Fatelo sciogliere. Poi, unitelo, pian piano alla farina. Impastate e quando l'impasto avrà assorbito tutta l'acqua, unite l'olio. Sul piano di lavoro versate un po’ di farina e lavorate l’impasto, dopo un po’ aggiungete il sale. Continuate ad impastare sino a quando otterrete un panetto omogeneo e liscio. Quindi, prendete una ciotola capiente e poggiatevi l’impasto, copritelo con ciotola con la pellicola e lasciatelo lievitare sino a che raddoppi. Contate da 10 a 12. Dipende dalla temperatura dell’ambiente e dalla forza del lievito madre. 
Trascorso il tempo necessario, prendete l’impasto e ponetelo sul piano di lavoro infarinato, e impastate per almeno 2 minuti. Poi, fate le forme che desiderate una o due, preferibilmente a pagnotta, infarinate la leccarda del forno, i panetti, infarinate anche la superficie e incideteli con un coltello formando una X e mettete a lievitare per altre 3 ore. Poi mettete la teglia in forno, pre-riscaldato da circa 30 minuti, a 220 gradi. Fate cuocere per 35/40 minuti ponendo la leccarda a metà forno. Controllate dall’esterno, senza aprire. La superficie dovrà risultare dorata. Trascorsi i 35/40 minuti spegnete e lasciate il pane per 10 minuti dentro il forno. Poi…………..Buon appetito.



N.B.:
- La durata della cottura dipende anche dal forno, io utilizzo quello elettrico che riscalda anche il livello superiore.
- Per quanto riguarda la lievitazione, ponete il pane a lievitare in una stanza dove non passa aria fredda né sbalzi di temperatura, oppure dentro il forno con la lucetta accesa, se panificate in inverno.
Se invece panificate in estate, basteranno meno ore. L’importante è osservare che il panetto raddoppi di volume.



lunedì 30 ottobre 2017

Il grano tra leggende e realtà nei vari culti - RICETTA ORIGINALE DELLA CUCCÌA




Spicchi di storia sulla cucina siciliana

Il grano. Tra leggende e realtà nei vari culti

C’è una leggenda mitologica che potrebbe essere raccontata ai bimbi come se fosse una favola. Le due figure protagoniste sono Cerere e Proserpina per i latini, Demetra e Persefone per i greci, madre e figlia.
Legate al grano, le due figure mitologiche assumono un ruolo dominante nell’antica civiltà greca e latina, e nel corso della colonizzazione dei Greci, in Sicilia, Cerere e Proserpina, rappresentarono, le dee madri.

 “Il ratto di Proserpina”.
La leggenda vuole che Proserpina, mentre raccoglieva i fiori presso il lago di Pergusa, in Sicilia, laddove, oggi, sorge il Parco di Proserpina, venne rapita da Ade, il dio dei morti, e gettata negli inferi. Ed è per questo che è detta anche dea degli inferi. Cerere, udito il grido della figlia, coprendosi con un velo nero e stringendo nelle mani fiaccole ardenti, per nove giorni vagó alla sua ricerca in tutta la terra. Stanca e distrutta dal dolore, si fermó ad Eleusi (Grecia), dove vi era un tempio consacrato a lei, per riposare, prendendo le sembianze di una vecchia. Elios, dio dell’astro solare, rivale di Ade, rivela alla dea che la figlia è stata rapita da quest’ultimo e che Zeus aveva deciso di dargliela in sposa. Adirata, Cerere fece cadere una terribile carestia sulla Terra, impedendo ai semi di germogliare. Zeus capendo che se non avesse fatto qualcosa per placare la sorella, il genere umano si sarebbe estinto e gli Dei non avrebbero più ricevuto sacrifici, chiese ad Ade di restituire Proserpina alla madre. Ade, prima di restituirgliela, fa mangiare alla fanciulla un chicco di melograno, cosicché avendo diviso del cibo con i morti, Proserpina non si sarebbe più distaccata dal mondo degli inferi. E così fu: Proserpina abiterà sei mesi sull’olimpo con la madre, dalla primavera, per poi tornare negli inferi con lo sposo, al momento della semina per altri sei mesi.
La leggenda è un’allegoria della natura e del ciclo della vegetazione, che muore e rinasce dal buio della terra.
Il grano, quindi, come metafora del ciclo vitale: nascita, morte e rinascita.

Il grano, pertanto, simbolo della rinascita, elemento principe nei rituali di diverse civiltà, costituisce da millenni la fonte primaria per l’approvvigionamento dei popoli.
Per accostare la "Commemorazione dei defunti" alle antiche usanze, occorre citare un rito molto diffuso nei culti antichi: "I misteri Eleusini". Essi racchiudono dei riti sacri abbinati al ciclo riproduttivo del grano. Un rito in cui Demetra (in greco) o Cerere (in latino) svelò dei segreti, come ringraziamento per le attenzioni ricevute nel periodo in cui cercava la figlia Kore (in greco) o Persefone (in latino). Un rito molto complesso, idilliaco e spirituale, che percorre processi iniziatici "al femminile", ovvero riferiti alla fecondazione, alla rinascita. 

Altra curiosità:
Nell’hinterland della Sicilia, nel giorno della commemorazione dei defunti, che si celebra sia il 1° novembre che il 2,  si consuma la cuccìa. Il motivo può essere ricercato nelle due versioni che ci hanno tramandato: per comodità o per collegare il grano alla rinascita dopo la morte?
Le donne meno erudite dell’epoca credo che lo facessero per comodità poiché trascorrevano l’intero giorno dinnanzi alla tomba dei loro cari. Alla sera, infreddolite, riscaldavano la cuccìa, che non scuoce, la condivano con del genuino olio di oliva e presto fatto, consumavano il pasto. Le donne più erudite, che davano spazio alle credenze mistiche, utilizzavano celebrare il giorno dei defunti, cibandosi solo del grano, segno della rinascita dopo la morte.
Diciamo l’utile misto alla mitologia.

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Santa Lucia e il bastimento carico di grano
Si narra che nell’anno 1646, il giorno 13 dicembre, Santa Lucia, arrivò un bastimento carico di grano, al porto di Palermo, in un momento in cui la città attraversava una pesante carestia, da diversi mesi. I palermitani, per consumare un pasto velocemente, decisero di cucinare il grano anziché farne della farina. Così lo bollirono e lo condirono con dell’olio di oliva. Nacque la cuccìa che, nel corso dei secoli,  subì varianti culinarie: con la ricotta e lo zucchero, con il cioccolato, con la crema, etc…. ma quello originale è solo con l’olio di oliva e del sale. In ricordo di quel giorno, i palermitani non consumano cibi a base di farina, ma solo cuccìa, nei vari modi e le arancine di riso, anch’esse nelle versioni dolci e salate.
Da dove derivasse il termine cuccìa non ci è dato sapere con certezza.
Alcuni sostengono che derivi dal greco Kokkía (grani), altri dal siciliano còccio (granello e antica unità di misura di massa e peso per i metalli preziosi usata a Palermo pari a 0,0551 grammi).



Ricetta originale - con l'olio di oliva

cuccìa con olio di oliva
Mettete a mollo per un giorno e una notte 200 grammi di grano, dopo averlo lavato accuratamente.
Trascorse le 24 ore, scolatelo e lavatelo sotto l’acqua corrente e ponetelo in una capiente pentola con abbondante acqua.


Lasciate cuocere per circa due ore controllando la consistenza dell'acqua che deve essere sempre abbondante, per evitare che cuocia bene e non si attacchi. Cinque minuti prima di spegnere il fuoco aggiungete del sale, a piacere. Lasciate raffreddare e aggiungete, per porzione, un cucchiaio di olio di oliva.

CONSIGLIO: io utilizzo la mia inseparabile pentola a pressione e risparmio tempo e gas. In questo caso e per chi ha dimestichezza, bastano 30 minuti.


Variante: Con la ricotta

Dopo che avrete cucinato il grano, senza sale, scolatelo e lasciatelo raffreddare.
Nel frattempo, prendete, per 200 grammi di grano, 400 grammi di ricotta di pecora. Mettete la ricotta in una scodella capiente e aggiungete 160 grammi di zucchero, un pò di cannella in polvere e una bustina di vaniglia. Lavorate a lungo sino ad ottenere un composto morbido e omogeneo. Quindi, aggiungete un cucchiaio di gocce di cioccolato e uno di frutta candita tagliata a piccoli pezzetti. Poi, unite il composto alla cuccìa e servite in ciotoline per creme. Ottima anche fredda da frigo.


cuccìa con la ricotta